| Vaalin |
| | Il lento ticchettio di un orologio meccanico giunge ritmicamente dalla parete, donando alla stanza l'ordine di un tempo che scorre uniforme, mentre sulla scrivania avvengono, sfasati rispetto ai secondi battuti, continui urti tra le piccole biglie di un pendolo di Newton. Tutto ciò mi ricorda l'importanza di un riferimento, di un piano, di un campione ideale che scandisca le fasi delle azioni umane, ma anche l'inevitabile asincronia del reale con queste speculazioni. La stessa realizzazione dell'idea prima e perfetta concepita dalla mente è in realtà fallata e così capita che anche il migliore degli orologi, col correre di ore, giorni, anni perda la sua coerenza e slitti gradualmente, accelerando o frenando, in un moto disomogeneo. C'è molto da imparare da questa osservazione e non mi stanco mai di riflettere sulle sue implicazioni e su come intravederla, lì, in filigrana, sullo sfondo degli eventi storici. La prova più palese è forse stata la Catastrofe, il momento in cui maggiormente quanto pianificato da chiunque si è discostato dalla realtà effettiva, portando varî strateghi dell'esercito, oppressi dal peso delle proprie scelte sbagliate, al suicidio, sia durante che dopo la guerra. Un monito, per tutti noi. Tranne me. Perché la verità è che la forza dell'astrazione non sta nel concepire un rigido schema delle cose, fondato su parametri critici una cui minima variazione potrebbe causare il fallimento, ma nel tessere una trama, un ordito, ricco di diramazioni eventuali, di scelte variabili interdipendenti. Solo grazie a questa flessibilità mentale sono riuscito a mantenere la calma, a sopravvivere allo stress e, persino, a usare la più immane delle tragedie come uno dei tanti tasselli del mio puzzle personale. Alcuni mi chiamerebbero mostro, altri già lo fanno apertamente, ma quello che credo di essere è semplicemente il più adatto all'ambiente. E come tale non c'è peccato nel lasciare indietro i deboli, i malati, nello sbranare gli avversari. Ciò che conta, alla fine della giornata, è essere vivi, un gradino sopra agli altri.
Bwzz!
Un suono elettronico irrompe scombinando lo schema a due voci dei ticchettî, introducendo una irregolarità imprevista, come a rimarcare quanto quella di ordine asincrono fosse una presunzione. Muovo flemmaticamente la mano su un pulsante, segue il quasi impercettibile suono di un contatto elettrico appena effettuato, autorizzo la comunicazione. Una voce di donna filtrata attraverso le piccole casse della scrivania mi raggiunge accompagnata da un fruscio di sottofondo, indice della scarsa qualità raggiunta in questo campo tecnologico, trascurato viste le infinite potenzialità di metodi di comunicazione basati sull'energia corporea, ma non per questo inutile, dato il vantaggio di non dover tenere costantemente impegnato personale altamente specializzato — un bel punto a favore in un momento in cui la carenza di uomini è profonda e le necessità richiedono di impiegarli più proficuamente.
La mia segretaria mi informa di una richiesta di udienza coi vertici non indirizzata a nessuno in particolare, ha pensato potesse interessarmi e quindi è pronta a dirottarla verso di me, in ragione, ufficialmente, dell'agenda fitta di impegni del capo-villaggio. Ancora una volta, le accordo l'autorizzazione e le chiedo di portarmi i fascicoli sulla persona in questione, prima che la scorti personalmente nel mio ufficio. «Ottimo lavoro, Clara.»
~ · ~
Una donna in tenuta da ufficiale avanza attraverso il cortile, una cartellina, di quelle con una specie di molletta in metallo per tenere i fogli, sotto braccio e una ricetrasmittente portatile in mano. Passo sicuro, deciso, cadenzato, marziale, non c'è traccia di civetteria o vanità nel suo incedere fatto di movimenti esplosivi, come a voler schiacciare il terreno con gli stivali. Si dirige verso di te, ancora all'ombra sotto l'albero, catturando la tua attenzione. Non è alta, attorno al metro e sessantacinque, ma non si può dire le manchi niente e anche quei suoi mossi capelli corvini non sono male; si direbbe una bella donna se non fosse per lo strano pallore del volto, le occhiaie troppo marcate e le labbra un po' livide. Probabilmente è una stakanovista doc e in un periodo come questo deve essersi divertita da pazzi ad accumulare straordinarî non retribuiti. Lungo la via un gruppo di soldati la incrocia e esegue il saluto militare, per poi essere lasciati liberi di proseguire ad un suo gesto.
Giunta nei tuoi pressi, in tono molto formale, ti comunica che la richiesta di udienza è stata accettata e che verrai ricevuto dal Daimyo, ringraziandoti per l'attesa. Ti prega di seguirla, sarà lei a mostrarti la strada.
~ · ~
Camminate per qualche minuto, attraversando numerosi corridoi, scale e porte sorvegliate, sino ad arrivare ai piani alti dell'edificio. Durante il percorso la tua guida non sembra molto loquace, limitandosi a dare le indicazioni del caso e a comunicare alla vigilanza il motivo della tua presenza, rispondendo in maniera stringata, diplomatica e rigorosa ad eventuali domande. Lei ti precede sempre di qualche passo, a una distanza fissa, regolando la propria velocità in funzione della tua se necessario a mantenere la spaziatura che sembra essersi imposta. Probabilmente è una procedura di sicurezza, oppure è soltanto un po' sociopatica. O entrambe, chissà, il soggetto non ti pare fra i più amichevoli, ma di sicuro dev'essere una di quelli che sanno il codice di procedura militare a memoria, lo si capisce già solo dal campionario di frasi e costrutti che usa. Hai molto tempo per osservarla, tant'è che la sua divisa da grigia da Jonin dell'Esercito Unificato potresti imprimertela sulla retina e nominarne ogni piega, ogni tasca. D'altronde non è che ci sia molto altro da osservare da quelle parti, l'arredamento sembra molto spartano, tipico di una installazione militare e solo qualche melanconica pianta spezza la monotonia del grigio cemento lasciato a vista che caratterizza la struttura.
Finalmente si arresta in corrispondenza di un'ampia porta in legno, ruotando sul posto con precisione chirurgica per averti di fronte. Pare che siate arrivati, lei alza il braccio destro e preme un pulsante sul muro; segue un suono ovattato che segnala che sia stato stabilito il contatto. Senza esitazioni e senza aspettar altro, come a risponder ad una tacita domanda, ecco che parla: «Clara.» L'aria vibra del rumore d'uno scatto metallico e ti viene fatto cenno d'entrare.
Avanzi e ti trovi in una stanza che ti accorgi essere stranamente completamente buia quando la porta alle tue spalle viene chiusa con gentilezza. Non è un problema per te e pare non esserlo neanche per il suo occupante, tranquillamente seduto dietro a una grande scrivania a pochi passi dal muro opposto all'entrata; si direbbe occupato a sfogliare delle carte e a firmare dei fogli. «Accomodati pure.» Una mano indica una poltroncina in pelle davanti a te, mentre l'altra appone con sicurezza un timbro a chissà quale pratica. «Spero non ti dispiaccia se mentre ti ascolto sbrigo qualche pratica.»
La stanza è grande, tipico dell'ufficio di un pezzo grosso, ma spoglia d'ogni decorazione, arredata solamente da scaffali e archivi che coprono tre delle quattro pareti, lasciando libera solo quella in fondo, alle spalle del Daimyo. Una vasta scrivania in legno pregiato occupa una buona parte di spazio e separa vistosamente di almeno qualche metro il suo proprietario dagli ospiti, a disposizione dei quali ci sono due poltroncine in pelle nera dall'aspetto molto costoso e comodo, unico sfoggio in quell'ambiente spartano. Oltre alla imponente seduta, caratterizzata da uno schienale in stile barocco, forse, dalla quale l'uomo ti scruta, naturalmente, che per quel poco che riesci a capire sembra in ottimo legno rivestito della stessa pelle sulla quale ti invita a sederti.
Continuando a passare la sua penna da una parte a un'altra, scartabellando di qui e di là, aprendo e chiudendo faldoni i più varî, senza ancora guardarti arriva subito al sodo: «Dimmi, perché sei qui?»
Banalmente, ti ho fatto fissare un appuntamento col Daimyo di Konoha, Nara Ryou (aka: me xD) e ti ho fatto scortare nel suo ufficio dalla sua segretaria, Clara. Sentiti libero di descrivere dal tuo punto di vista il tragitto o fare qualche domanda a Clara, inviandomele previamente per mp così che possa darti in tal sede la risposta alle stesse dimodoché tu possa includere tutto insieme nel prossimo post, se vuoi. Mi scuso per il tragitto forzato, ma è per stringar le cose, sennò non ci si arriva mai al dunque! L'ufficio, come detto, è completamente al buio, cosa che non appare un problema per il Daimyo, così come non lo è per te, vista l'abilità che avete di vedere al buio. Chiaramente però non si distinguono colori di sorta così. Anche se non l'ho ripetuto, ci sono un orologio alle spalle di Ryou e un pendolo di Newton sulla scrivania.
Al prossimo giro ti dico già che parte la proposta che non puoi rifiutare, inizialmente pensavo di metterla già in questo, ma sennò s'allungava troppo, avrei preferito un incipit più corto da parte mia >> Insomma, puoi sederti, non sederti, dirgli cosa vuoi, cercare di sputargli in faccia, provare a far esplodere l'ufficio o che altro: in ogni caso non sarà facile, è un tipo con le idee molto chiare =V
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