Allenamento Maryam Tarkian, Spero di averlo fatto bene e di aver capito il regolamento...

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~ Dark.Angel.Maryam
view post Posted on 24/9/2011, 14:46





Allenamento di Maryam Tarkian﴿




 




Parlato Maryam


Pensato Maryam


Narrato


Parlato Ikuto


Parlato Altri





 


†Awakening†


... “un ninja non deve mai abbassar la guardia”... questo è il trecentottantaquattresimo libro dove trovo questa frase... pure queste: “Il chakra va consumato con moderazione”, “il kunai è un’arma da lancio affilata”, “è importante che la mente di uno shinobi sia sempre preparata ad affrontare improvvise situazioni avverse costruendo strategie automaticamente”... costruendo strategie? Non mi piace questa frase...


EFFETTIVAMENTE, c’è qualcuno che dovrebbe allenarsi con la pratica e buttare nel dimenticatoio ‘sti libri di teoria, come stavo riferendo alla Punky iersera.


Ikuto prese tutti i libri dal tavolo e li mise a posto nei loro scaffali della biblioteca. Da un po’ di tempo, in effetti, mi concentravo troppo sulla teoria. Tra l’altro diversi testi ripetevano come pappagalli cartacei i medesimi concetti nella medesima maniera con le medesime parole. Mi grattai la fronte, sul lato dove cadeva la mia ciocca di capelli che spero mi distinguesse da qualsiasi altra ragazza al mondo. Dovevo allenarmi nel senso fisico e mentale. Era da un bel po’ di tempo che non svolgevo esercizi... uno o due anni? Dov’erano finiti i miei buoni propositi di diventare kunoichi? Erano sogni di una ragazzina undicenne inesperta? Avevo sbagliato a sottovalutare questo “mestiere”? L’essere ninja si può considerare come una professione? O un dovere? Oppure un diritto? Scrollai la testa abbandonando questi pensieri... e ne occuparono il posto altri: era da qualche tempo che mi dicevo “oggi mi alleno” e poi rimandavo. Perché gli esseri umani ritardano i loro doveri, i loro diritti o come-vuoi-che-si-chiamino? Perché IO, che mi ero imposta degli obiettivi, non andavo avanti sulla mia via? Non mi sentivo più idonea a essere una shinobi? Mi ero arresa? Oppure la batosta che mi aveva portato all’ospedale durante l’esame Chuunin mi aveva oscurato la suddetta via? Eppure ne ero rimasta felicissima, poiché ero stata promossa...


Mi alzai dalla sedia, percorsi qualche corridoio separato dagli scaffali di libri e arrivai all’ingresso della biblioteca. Ricorda il passato per continuare il presente. Non potevo commettere ulteriori sbagli. Dovevo allenarmi. Dovevo risvegliarmi.


Salutai la bibliotecaria e uscii, soffocando per l’afa che accompagnava l’aria sunese. Sentii rumori di passi, martelli, metalli, terra, macchinari, grida... tanti abitanti si stavano impegnando a ricostruire il villaggio. Mio fratello Ikuto mi aspettava alla mia sinistra; lo raggiunsi e, mentre c’incamminavamo, iniziò a chiacchierare, dicendo che mi avrebbe portato da qualche parte ad allenarmi. Allenarsi. Allenare. Allenatore. Allenamento. Queste parole mi vorticavano nel cervello procurandomi nevrosi...


Girammo dopo qualche decina di metri in una stradina che aspettava di essere ristrutturata. Vidi la porta verde della vecchia erboristeria appartenuta alla mia defunta zia. Spezzata in mille e più frammenti lignei. Quasi come la mia anima confusa, divisa in più parti vaganti Dio sapeva dove.


Continuando a spostare un piede davanti all’altro, Ikuto a tratti mi rimproverava, a tratti mi rompeva le scatole affettuosamente, da fratello maggiore, finché non giungemmo in una distesa arrotondata e sabbiosa, di circa centocinquanta metri quadrati. Attorno, a mo’ di mura difensive un po’ decrepite a mio parere, i resti degli edifici e delle abitazioni sunesi posavano in mezzo alla sabbia e alle rocce, tanto era difficile distinguere le rovine consumate dall’erosione dei venti e della sabbia da quest’ultime.


Mio fratello si avviò verso il centro del “campo”, dove giaceva una grande borsa. Nel frattempo, notai, sotto un qualcosa che una volta doveva essere il tetto di una casa, una pianticella verde. Vedere questo colore in mezzo a quel giallo oro mi fece pensare a un miraggio. O era un miracolo? Un segno del Signore per dirmi che mi dava il suo aiuto in mezzo alla confusione che mi tratteneva prigioniera? Mi avvicinai e abbassandomi sulle ginocchia accarezzai una fogliolina: sotto di essa riconobbi il fiore che avrebbe dato culla a un frutto di lampone fino alla maturazione. Sorrisi, commossa da tale vista e mi rimisi in posizione eretta. Andai incontro a Ikuto. Questo sorrise con il suo solito fare dispettoso.


Allora? Pronta a sfidare il tuo caro fratellone?


Ghignai, facendolo un po’ rabbrividire. Capì che mi ero finalmente e sul serio risvegliata.


... Corri.


COSA?


Corri dieci giri. Per riscaldamento.


Fece l’occhiolino e un sorriso che mi sarebbe piaciuto vedere su un cadavere.


Che bastardo, lo sai benissimo che detesto correre!


Ciò nonostante obbedii. Percorsi la circonferenza del campo, dieci volte: la prima, cercai di non accelerare; la quarta, sentii le gambe un po’ pesanti e velocizzai la corsa; la sesta udii il fiato chiedere misericordia, ignorandolo; la settima percepii una goccia di sudore sulla fronte e accelerai. Al decimo giro, verso la fine, frenai con uno scivolone, finendo a terra con la pancia in su. Mio fratello cominciò a ridere, intanto mi alzavo, spolveravo i vestiti e lo guardavo minacciosa, respirando profondamente.


Oook, ora vedremo come te la cavi a scontrarti. Quello non era proprio un riscaldamento. Se in una missione dovessi incontrare qualche nemico, probabilmente avrai percorso qualche miglia prima di ciò e quindi ti ritroveresti in questo stato. Ti conviene imparare a saper distribuire la tua energia, nei momenti giunti, nei punti giusti. In tal modo, saprai come agire se dovessi imbatterti in questo tipo di situazione. Te la senti? O correre ti rende proprio inoffensiva?


Figurati. Ti ricordo che ogni mattina per tenermi in forma corro qualche centinaia di metri.


Davvero? A me sembrano qualche decina.


E no, Ikuto, non mi provocare...


Durante il suo discorso, mi aveva reso le mie misere e semplici armi, cinque kunai e cinque shuriken. Tenni gli ultimi nella sacca apposita che avevo cucito di mia mano (qualche problema? Eh?) e i primi appesi alla cintura, nascosti sotto la giacchetta lunga che indossavo. Uno lo infilai dentro la manica sinistra dello stesso indumento. Ahia. Mi ero graffiata la pelle del braccio... in quel momento captai l’aria muoversi intorno a me e mi accorsi che mio fratello si era spostato verso di me con l’agilità di un felino e mi stava per sferrare un pugno verso lo stomaco. Ebbi un dejàvu (o come diavolo si scrive, non m’interessa) e ricordai la frase che mi lamentavo fosse stata ripetuta più volte in più libri: “Un ninja non deve mai abbassar la guardia”. Ma non c’è anche il detto “meglio tardi che mai”?


Mi spostai di quel poco che potevo verso destra, ricevendo il colpo sul fianco sinistro. Che dolore, non ricordavo fossero così forti i suoi cedri...Scivolai sui talloni, spingendo la schiena verso terra. Appoggiai la mano destra sulla sabbia rovente e flettei il ginocchio sinistro, puntando sul petto di mio fratello, inchinato leggermente verso il basso con il busto.


Ikuto fu più furbo. Appena vide il mio abbassarsi, prevedendo che avrei fatto uso delle gambe, con la mano sinistra afferrò, da sotto, la mia caviglia e mi lanciò di peso lontano da lui. Sbattei contro un muro spezzato, sentii la mia schiena piagnucolare. Non ricordavo nemmeno fosse così forte. O forse ero io che pesavo poco? Magari qualche kilo in più...


Mi alzai a fatica e guardai la parete dietro di me. Per le mutande di Merlino, due crepe. Dovevo aver sbattuto proprio forte.


Mi voltai verso il caro fratellone, scrutandolo. Egli scrollò le spalle, alzando le mani come per dire “eh, cara mia, dovevi stare più attenta”. Ma ero una Chuunin o una Genin da poco promossa?


Mossi qualche passo verso sinistra, tenendo gli occhi puntati verso di lui. Ikuto ricambiava lo sguardo, spostandosi a sua volta verso destra. Non mi piace quando due camminano in cerchio. Sembra la solita scena epica di qualche scontro decisivo tra i soliti due avversari prototipi di un libro d’azione. Perciò, motivata da queste mie sensazioni forse un po’ infantili, mi decisi a rompere quel cerchio. Sebbene mi facesse un male cane la schiena.


Scattai in avanti verso mio fratello e con la mano destra afferrai uno shuriken e un kunai. Il primo lo lanciai quasi immediatamente verso la coscia destra di Ikuto. Non avevo paura di ferirlo, perché a) mio fratello non si faceva ferire così facilmente e b) se lui aveva avuto l’intenzione di colpirmi lo stomaco senza esitazione, perché io non avrei dovuto lanciargli qualcosa contro sempre senza esitazione?


Quel tale che si faceva definire mio fratello schivò l’arma a quattro punte con la stessa semplicità di uno che beve un bicchiere d’acqua. Pareva lo facesse apposta per innervosirmi con tutta la sua naturalezza.


Scusa se sono inesperta, caro fratello...


Si spostò verso sinistra mentre proseguivo a correre nella sua direzione. E quando lo stavo per raggiungere, con la mano sinistra prese un kunai da non-si-sa-bene-dove e fece per puntarmelo contro. Lo parai con la medesima arma che avevo nella mano destra. I nostri occhi s’incontrarono. La mia mano sinistra ebbe un sussulto che tenei a bada per il momento. Lo vidi digrignare e sentii un rumore metallico provenire dal basso. Con la coda dell’occhio vidi un altro kunai, tenuto con la punta rivolta verso la sua sinistra, nella sua mano destra. Aveva intenzione di farlo scorrere sui miei vestiti (per non dire sulla mia carne).


Scordatelo, brutta sottospecie di iena...


La mia mano sinistra ebbe la contentezza di impugnare il kunai nascosto sotto la manica e parare quello che stava stringendo Ikuto. Mio fratello non rivelò alcuna espressione di stupore o stizza, se non di scherno e come di lieve soddisfazione. E di cosa? Di un gesto così elementare? Chiunque avrebbe potuto farlo...


AARGH!


Feci un salto all’indietro. La mano, mi aveva graffiato la mano! Aveva fatto scivolare la lama del kunai su quella dell’arma che impugnavo, per poi farla scorrere sulla pelle candida della mia mano. Mi guardò sorridendo; il kunai che avevo nella mano sinistra toccò terra più lontano. In quel momento avrei voluto volentieri prenderlo a schiaffi. Corsi verso di lui. Questo si preparò a ricevermi tenendo in mano i kunai; quando gli fui abbastanza vicina da smuoverlo ad agire con le armi, mi spostai alla sua sinistra. Prontamente spostò il kunai dalla stessa parte e lo parai con quello che avevo nella mano destra. Con la gamba sinistra gli sferrai un calcio da dietro di lui, puntando sulle ginocchia. Ci misi tutta la forza che potevo.


Ikuto, con mio stupore, ne rimase altrettanto stupito e colto di sorpresa si ritrovò a cadere di schiena sul terreno.  Poggiai il ginocchio destro sul suo addome e puntai il kunai verso il suo viso.


Eeeh... più attenzione. Devi disarmare prima di giungere a questi punti.


Dicendo così, effettivamente mi accorsi che puntava il kunai della mano sinistra sul mio stomaco, quello della mano destra sulla coscia della gamba appoggiata.


Ti ricordi cosa mi avevi detto riguardo alle verifiche di scuola?


Mh... che sono come le partite a scacchi: per risolverle devi saper prevedere le loro domande come le mosse degli scacchi avversari per vincere la partita. La stessa cosa vale per gli scontri tra ninja, intendi dire questo, giusto?


Esatto.


Ikuto sorrise. Non so perché, quel sorriso mi ricordò la mamma. Avrei voluto piangere. Invece, la rabbia s’impossessò di me e scattai all’indietro. Mio fratello si accorse che ero alterata e si preparò a scontrarsi con me. Presi due shuriken con la mano sinistra e gli corsi incontro, contemporaneamente gli lanciai una delle due armi in alto a destra. Schivò a sinistra, com’era prevedibile, e quando fui a due metri di distanza, scagliai l’altra verso la coscia, di modo che si spostasse a destra. Lo shuriken percorse l’aria in direzione della mano sinistra e le tolse dalla presa il kunai, procurandole dei tagli.


Entrambi avevamo un kunai nella mano destra.  La mia sinistra era raccapricciante da guardare, imbrattata di sangue. Non mi aveva graffiato, mi aveva tagliato. E già i microbi stavano facendo festa... che schifo.


Ikuto lanciò il kunai verso di me e mentre lo schivavo, mi corse incontro lanciando tre shuriken. Mi abbassai con le mani a terra, sentendo la sinistra urlare per l’improvviso contatto con la terra, ancor più piena di microbi affamati. Le tre armi volarono fino a infilzarsi su una roccia. Spinsi con i piedi sul terreno e indirizzai il salto (salto? Corsa? Boh) verso mio fratello, preparando una mano chiusa con l’obiettivo di colpire... pancia? Petto? Viso? Abibone, goccia di limone... stomaco, ok.


Mi diede una ginocchiata in faccia! Fa male! UN MALE CANE! Qualcuno ha mai avuto un’esperienza del genere? Sentire la propria mandibola scontrarsi con la mascella superiore... sentire i denti salutarsi con ticchettii che sembrano rumori di vetri frantumati... meno male che la mia dentatura rimase intatta!  Piuttosto, dal nervoso di quel gesto, fermai la mia caduta all’indietro poggiando le mani sul terreno e alzai le gambe, scalciando. Gli colpii lo stomaco, come prima desiderato. Poggiati i piedi per terra, detti una spinta con le mani e finii addosso ad Ikuto. Rotolammo per qualche metro, tenendoci per i vestiti. Lo schiaffeggiai con la mano destra e diedi una ginocchiata...


Ooops...


... Nel punto debole comune a tutti i maschi. In realtà ero intenzionata a puntare sulla pancia... Il poveretto rotolò lontano da me.


Scusa, fratellone!...


Ok, ok, basta, basta... ah... che dolore... Non è tanto, ma basta per oggi... aah...


Ehm... sicuro di riuscire a rialzarti?


Mi rivolse un’occhiataccia piena di sofferenza. Provai immensa tenerezza per lui e per tutti gli uomini dell’Universo.


Ma ti pare possibile???


Ridacchiai, avvicinandomi, e, prima di andare a casa, gli diedi qualche pacca sulla spalla.


 


La nuova casa, pagata a) con i soldi guadagnati e tenuti sotto chiave da mio fratello con missioni e commissioni al supermercato, b) con i soldi rimasti lasciateci dalla zia e i suoi gioielli (l’aveva espressamente dichiarato qualche giorno prima della sua morte, nonostante fossi contraria), c) e senza i miei soldi. Perché ero al verde!!!


Cough...


Dicevo, la nuova casa, pagata [...], era un piccolo appartamento, l’ultimo dell’ultimo piano (il quarto) dell’ultimo condominio in fondo all’ultima via che si affacciava su un cortiletto piuttosto ampio. C’erano una cucina, due bagni, ciascuno per ogni delle due stanze da letto, un piccolo salottino, un balcone. Ikuto un po’ se ne lamentava, a me andava alla grande, perché a me le case piacevano piccole. Non troppo, ma insomma semplici.


Quando entrammo, anzi, prima di entrare, mio fratello girò la chiave ed entrò furtivamente, per poi balzare in avanti con due kunai nelle mani. Questa scena faceva parte della routine quotidiana, perché mio fratello era sicuro che alla fine avrebbe colto di sorpresa qualche ladro.


Cough...Cough...


 


Entrai nella mia stanza scuotendo la testa e chiusi a chiave. Mi cambiai, gettando i vestiti impolverati sul pavimento piastrellato di nero, sull’angolo davanti alla porta del mio bagno. L’angolo adiacente era occupato dalla mia “libreria”, estesa lungo la parete lunga, che era opposta alla porta da cui ero entrata. Accanto agli scaffali colmi di libri vi era il mio letto, sotto una grande finestra. Sul lato corto vicino era collocata la scrivania. Sul muro opposto alla finestra, c’era infine l’armadio munito di alcuni cassetti. Feci una veloce doccia, indossando poi dei pantaloni aderenti neri, lunghi fin sotto le ginocchia. Mi infilai in una camicia bianca e un gilet rosso, con dei fili argentei sulle due tasche basse davanti.


Cough...


Mi sdraiai sul letto, esausta. Sfogare la rabbia era una cosa piuttosto faticosa. Pensandoci, da dove era provenuto quell’improvviso attacco d’ira?


Mamma... papà...


Sul soffitto, nella zona sopra il letto, avevo attaccato una loro fotografia. Mia mamma era così bella, con quei capelli castani con sfumature rosse, scalati e sbarazzini. Aveva un sorriso dolcissimo, in quella foto, e degli occhi grigi luminosi. Mio padre, con capelli a spazzola neri e gli occhi altrettanto scuri, sembrava avesse appena visto un fantasma con una scarpa in testa. Sembrava sbigottito e divertito allo stesso tempo. La mia vista si appannò, le lacrime volevano impedirmi di continuare a fissare i loro visi. Era una cosa troppo dolorosa. Probabilmente, l’ira che scorreva nelle mie vene era motivata dal loro assassinio. Non avrei mai perdonato questo fatto. Mai. Mi avevano tolto due figure importanti della mia vita; e tempo fa avevano perso anche la zia. La collera era aumentata. La mia forza di volontà, tuttavia, era ancora abbastanza grande per tenere a bada questo sentimento. Mi chiedo se sia giusto provare rabbia, vendetta. Saranno poi utili? Ne traiamo benefici? Oppure non ne vale la pena?


Cough…Cough...


Girai il viso verso la finestra. Davanti ad essa, sul pezzo di muro che la separava dal letto, era appeso un corto scaffale, dove erano ammucchiati tre o quattro libri, una stilografica, una fotografia che ritraeva me con mio fratello e la zia e infine... una rosa di ghiaccio che non aveva subito cambiamenti da quando il suo artefice me l’aveva regalata.


Alexander…


Non sono un po’ strana? Provare rabbia, vendetta e allo stesso tempo sentirsi innamorati, felici? Mi domandai dove potesse trovarsi quel giovane. Non l’avevo più incontrato, dopo un po’ di tempo che ci adocchiavamo a Konoha. Ricordai il suo modo elegante di pattinare sul ghiaccio, la sua dolce pazienza nell’insegnarmi... arrossii, mentre quei pensieri scorrevano nel buio della mia mente. Un lato di me stessa, quella insicura, mi chiese se fossi veramente innamorata. La schiaffeggiai e lei scappò nelle zone remote del mio animo. Ormai, però, quella domanda ostruì i pensieri felici: quando un essere umano veramente ama? Cosa può fargli capire ciò? E se fosse tutto falso? Una presa in giro, l’amore? E se tutto fosse una presa in giro?


E se fossi io stessa, quella che prende in giro?


COUGH! COUGH! COUGH!


Punky, tutto be… MARYAM!


Buio.


 


†Origin†


Febbre, tosse. Microbi. Rabbia. Fratello imbecille. Taglio alla mano. Microbi. Malattia. Fratello idiota. Probabilmente erano queste le parole che invadevano il mio cervello nei giorni che seguirono. Spero di averli riassunti tutti in queste poche parole. E non se ne parli più, per l’amor di Dio!


Passarono tre giorni, e nonostante la persona che prima voleva allenarmi si rifiutasse di portarmi fuori al campo, uscii lo stesso. E inoltre, Ikuto pensava volessi allenarmi, ma in realtà (al massimo avrei fatto qualche giro di corsa) non avevo nessuna voglia di svolgere esercizi fisici e di combattimento. E con chi? Con mio fratello, per poi prendere un altro malanno? Fu così che lasciai casa solo per qualche giretto, qualche ora prima dell’alba. Ultimamente dormivo solo qualche ora dopo il sorgere del sole e recuperavo con una dormitina il pomeriggio. Pareva che di notte non riuscissi ad abbandonarmi nel regno dei sogni.


Solitamente penetravo all’esterno attraverso la finestra della mia camera, per gironzolare sui tetti delle abitazioni ricostruite di Suna. Eventualmente, spesso anzi, mi avventuravo tra le rovine, alla ricerca di oggetti persi e ad osservare una famigliola di volpi del deserto nascosta in una tana di rocce e rovine. Sinceramente non volevo permettere che riedificassero le vecchie case togliendo a quelle creature la propria casa. Quella sera vestivo dei pantaloni neri aderenti e una lunga camicia grigia con quadrettature nere, stretta in vita da una cintura borchiata. Calzavo degli anfibi neri, con cui camminavo lentamente, attenta a non scivolare come era mio vizio; percorsi qualche tetto diritta, girai a destra, a sinistra, a destra, a destra, saltai giù, mi infilai in un cunicolo stretto e illuminato dalle luci di qualche negozio che si preparava ad aprire, mi arrampicai su un tubo, percorsi nuovamente una casa diritta, saltai giù verso destra e giunsi ad una zona vicina al campo.


Era un po’ complicato mettere i piedi tra le rocce e i resti miseri degli edifici che prima vi sorgevano più giallo oro che mai. Quanto detestavo questo colore. Eppure, mi raccontava la zia, da piccola era il mio colore preferito. Non sia mai che ritorni a piacermi. Osservai il terreno alla luce della luna, luogo di giochi di luci e ombre, che toglieva dalla mia vista quel colore così orrido sostituendolo con tonalità dal nero al marroncino chiaro nei posti oscurati e negli spazi aperti con un bianco avorio tendente al bej... beije... beige... come diavolo si scrive. A ogni mio passo si alzava un po’ di polvere e qualche sassolino era scalciato più avanti. Mi chinai ad esplorare un piccolo spazio attorniato da delle rovine e degli oggetti bianchi che dovevano essere i residui di qualche vasca da bagno... o forse un water? Appena il mio viso fu vicino alla cavità, sentii qualcosa di umido appoggiarsi sul mio naso e i miei occhi incontrarono due piccole sfere nere, lucide e vispe... o meglio, vispo era lo sguardo della volpe del deserto che mi fissava sorpresa, naso-a-muso. Il piccolo animale si spaventò e saltò sulla mia testa, zampettando veloce in direzione di un’altra fessura dove nascondersi oppure verso qualsiasi cosa stesse pensando. Mi voltai massaggiandomi il capo e nuovamente il mio naso andò contro il naso di un... essere umano.


Che diamine...


Hai spaventato Suu.


ARGH!


Spostandomi, inciampai in qualche roccia dietro i talloni (mh, mi ricorda la scena di qualche fumetto...) e caddi per terra, sulla sabbia che almeno stava fresca durante le ore di buio. Mi rialzai immediatamente, fissando la figura alta e robusta davanti a me. Dalla voce avevo capito che si trattava di un ragazzo, giovane probabilmente, e per un momento, mentre incidevo sull’immagine registrata dal cervello i capelli scuri, mi sembrò Alexander. Quando però vidi i suoi occhi azzurri, frenai la contentezza che stava per invadermi. E poi cosa ci avrebbe fatto lì, a Suna, quel caro ragazzo? Certo che doveva mancarmi proprio tanto... A questo pensiero sentii il cuore restringersi, dolorosamente. Intanto, mi rivolsi a quell’individuo.


Ehm... tu saresti?


Il ragazzo mi fissò, dall’alto al basso. La mia mano si chiuse in pugno istintivamente presa dall’irritazione. Egli era vestito con dei pantaloni larghi blu, fissati alla vita con una fascia bianca. Il torso era tenuto scoperto, se non per una specie di armatura sulle spalle e gli avambracci, e una sciarpa rossa attorno al collo, lasciato nudo in alcuni punti. Calzava degli stivali piuttosto particolari, dalla suola giallognola e vari strati di stoffa avvolti attorno alle gambe fino alle ginocchia, da cui poi erano legati degli schinieri di metallo. La pelle era bianchissima. Come la mia. Pensai se non fosse qualche parente lontano e sconosciuto...? Sulla sua spalla saltò, spuntando dal nulla, la volpina che avevo scovato poco fa. Mi osservò con gli occhietti schietti e scorsi quel musetto tenero muoversi come se stesse annusando l’aria circostante. Il ragazzo finalmente si decise a rispondermi. Fece un sorriso inquietante e si avvicinò.


Roky. Ventun anni. Provengo da uno sperduto paese lontano da Suna, un villaggio che ormai nessuno conoscerà più... sebbene tanta gente che vi appartiene si sia diffusa in altri villaggi. Tu sei?


Ignorai la domanda. Non volontariamente. I miei occhi erano incollati al suo collo. Sulla base, dietro, a destra, c’era un neo. Sembrava una luna nera. Come quello che avevo io, nella medesima zona. Sembrò che lui avesse capito la situazione; si avvicinò di più a me, chinando la testa e guardando a sua volta il mio collo. Sorrise, ancora più inquietantemente.


To’, ma guarda un po’. A quanto pare qui c’è qualcun altro che ha il nostro stesso neo...


Nostro? Aveva detto nostro? Gli rivolsi un’occhiata interrogativa. Lui ricambiò con una divertita, sbuffando. Indietreggiò qualche passo e alzò il dito indice della mano destra, indicandomi. Lo squadrai, alzando le sopracciglia.


Ti sfido!


NO.


Risposi così prontamente e in modo secco che per poco il ragazzo non cadde a terra.


Ehi! Non si rifiuta così un duello!


Non ne sono in vena, sono appena stata ammalata!


Oh povera piccola, ti avevano fatto la bua?!


... Sei morto.


Mi scagliai contro di lui, irata. Cercai di spingerlo, invano, perché lui prese entrambe le mie braccia, bloccandomi. Le stringeva così fortemente che pareva avesse le mani di acciaio. Sentivo il dolore percorrere ogni centimetro della pelle degli avambracci e questo stimolò le ghiandole lacrimali a produrre liquido nei miei occhi. Cercavo di dimenarmi, sofferente, quando notai che effettivamente era impegnato a scrutarmi e a tenermi le braccia. Senza dar segno di concentrazione, sollevai leggermente la gamba e affondai il ginocchio nel suo stomaco. Il ragazzo si allontanò, lasciandomi, e si lagnò del dolore, cingendosi la pancia. Ne approfittai per lanciarmi nuovamente contro di lui: lo colpii da sotto il mento con più forza che potevo ed egli cadde con la schiena a terra. Mi abbassai accanto a lui e lo presi per la fascia che gli cingeva il collo.


Non si attacca una persona indifesa e non pronta, ma soprattutto non si dichiara sfida senza motivo. E... che non ti capiti mai più di mettere le mani addosso a una ragazza!


Ma non sei stata tu a lanciarti per prima, Maryam?!


Lo schiaffeggiai prima che potesse reagire, lasciandogli il ricordo di una manata rossa sulla guancia sinistra.


Arrotolai le maniche e guardai le mie braccia: erano rosse, si vedevano persino i segni delle dita di quel ragazzo. Mi alzai e feci per andarmene, quando vidi che la volpe del deserto mi fissava davanti a me, scuotendo la coda. Ci guardammo negli occhi. Capii che eravamo fatte per essere amiche inseparabili. Agitai la manina e feci per lasciare il posto definitivamente, quando ad un tratto mi sentii tirare per l’orlo della camicia. Mi girai, piano, sperando che fosse la volpe, cosa di cui dubitavo fortemente perché la presa era molto forte e l’avevo provata sulle braccia poco fa. Il ragazzo con cui mi ero brevemente scontrata era strisciato verso di me e ora mi guardava con uno sguardo sofferente e... una bocca evidentemente sanguinante. Caccia un urlo per l’improvviso vedere il suo stato e mi chinai verso di lui, pietosa.


Scusami, ti ho fatto così male?!


Il giorno dopo, avanziamo nella storia con velocità supersonica, lo andai a visitare all’ospedale dove l’avevo accompagnato la sera prima.  Mi accolse ad armi aperte, cioè a braccia aperte. A momenti mi azzannava...


Invece di salutarlo, gli mostrai gli evidenti marchi della sua stretta sulle mie braccia; lui reagì scrollando le spalle, io risposi schiaffeggiandolo nuovamente. Mentre si riprendeva, vidi chiaramente che si sarebbe messo a piangere dalla vergogna di farsi intimidire da una femmina. Alla fine si decise a scusarsi e io ne fui contenta, come una bambina a cui hanno regalato l’orsacchiotto che si aspettava per il proprio compleanno.


Ha un significato questo neo?


Roky mi fissò, mentre sedevo su uno sgabello vicino al suo letto. Cercai di trattenere le risate, osservando l’ingombrante cerotto che portava sul mento. Dovevo avergli fatto proprio male...


Beh... quel neo è caratteristico del villaggio da cui provengo io, quello abbandonato nell’oblio di cui ti parlavo ieri sera.


Quindi... è possibile che ne faccia parte?


Non ero di origini sunesi? Wow, mi sembrava di essere la protagonista di un libro d’avventura e mistero...


Diciamo pure che sei dei nostri, punto e stop. Pure tuo fratello Ikuto, tua zia Kunasa, tua madre e tuo padre. Come vedi abbiamo tutti la pelle bianchissima, un’altra nostra caratteristica. La zona dove si trova il nostro villaggio ha un clima molto diverso da quello di Suna e di altri villaggi; d’inverno fa molto freddo e nevica per tre mesi, in primavera ed estate piove tre volte alla settimana e gli altri giorni è soleggiato, sebbene l’aria rimanga piacevolmente fresca. In autunno piove per cinque o sei giorni alla settimana e tira un vento piuttosto gelido. Vi crescono molte piante, o almeno quelle che si adattano al clima. Le altre vengono piantate in serre apposite. C’è abbondanza di cibo, frutta, verdura, legumi... Le carni più consumate sono quelle di bovino e di pecora. Anche i pesci sono particolarmente graditi, però sono molto cari dato che i pescatori di quel villaggio fanno molta strada per andare a cercarli in mare e poi tornare. La gente, come ho già detto, ha la pelle molto chiara, questo neo e particolari colori per gli occhi. Per esempio i tuoi, con quelle strane pagliuzze rossastre. C’erano stati anche casi di persone le cui iridi erano cambiate, tipo da blu diventare marroni.


Adesso capivo tutto. Capivo la mia strana passione per il freddo e la pioggia, per le piante, capivo la stranezza dei miei occhi... Ma perché alcuni abitanti di quel villaggio si erano spostati? Quando lo domandai a Roky, divenne cupo.


Sai quei mostri che hanno rotto le scatole fino a poco tempo fa? Vent’anni fa erano venuti a distruggere il nostro villaggio, e solo quello. Durò sette anni. Il nostro kage era riuscito a mandarli il più lontano possibile, con l’aiuto degli abitanti in grado di resistere agli attacchi. Gli altri erano scappati, per ordine del capo. E non sono più tornati! O almeno la maggior parte.


Pensai ai miei genitori. Loro erano morti prima che finisse l’assedio. Se fossero sopravvissuti, avremmo potuto ritornare...? Strinsi i pugni, sentii gli occhi prudere. Roky mi diede una pacca sulla spalla, per poi girarsi verso le proprie lenzuola, a pensare a chissà cosa.


Quando ritornai a casa, chiesi ad Ikuto riguardo tutta la storia. Lui sapeva. Conosceva tutto fin dall'inizio.


Perché ne ero rimasta all'oscuro?


La notte dello stesso giorno piansi, perseguitata da pensieri e ricordi.


La mia rabbia aumentò.


Il mio carattere si fece più freddo e diffidente, infastidito da così tanti misteri e disastri...


 

 
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~ Dark.Angel.Maryam
view post Posted on 1/10/2011, 17:05




Aaahm... up?
 
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Vaalin
view post Posted on 1/10/2011, 23:32




L'allenamento mi era sfuggito, hai fatto benissimo ad uppare.

Passando alla valutazione, lo scritto è buono, molto buono, contraddistinto da un che di inusuale che non può che giovare alla originalità e piacevolezza.
Bene i dettagli vari qua e là, che danno un carattere di maggior vividezza, un po' meno bene la psicologia dei personaggi, tutto sommato non granché intrigante, ma perdonabile vista la, immagino, loro giovane età.
Particolari certi scelte, pochi errori (forse giusto qualche ripetizione che avresti potuto evitare e un par di tempi verbali), un po' debole l'espediente del neo, che debbo dire non mi abbia esaltato, così come la persona di Roky, un tantino piatta (comprensibile, visto lo scarso spazio a lui riservato).

Colgo l'occasione per rimembrare che la tipologia di giocata "Allenamento" non richiede che effettivamente ci si alleni, ma che, sempre rimanendo in tale categoria, è possibile fare di tutto (è addirittura preferibile), quindi mi piacerebbe la prossima volta vederti cimentare in qualcosa di più libero.

Ti assegno pertanto una media numerica pari a otto decimi.

Ti vengono accreditati pertanto anche punti esperienza in ammontare di sessantaquattro e ryo in numero di cinquecentododici,
al momento della prossima modifica della scheda.

 
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~ Dark.Angel.Maryam
view post Posted on 2/10/2011, 08:34




Ehi, hai insultato il neo che veramente possiedo ò_ò xD Peccato che non sia a forma di mezzaluna, però...
Grazie per la risposta!^^
 
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3 replies since 24/9/2011, 14:46   45 views
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